A quella "antica" acqua piovana,
stagnante e rimasta inutilizzata nelle vecchie cisterne urbane,
opportunamente ricordata in questo periodo di arsura dal Dr. Pietro
Gabriele (con la bella lettera pubblicata martedì 11 luglio
dalla Gazzetta), vorrei aggiungere quella "nuova", che
prima o poi, cadendo copiosa dal cielo, andrà ad imbibire
i nostri numerosi e secchi torrenti dell'agro che, a loro volta,
la riverseranno in mare, inservibile e compreso tutto il loro
devastante carico inquinante; giacché i loro alvei non
vengono più puliti dalle amministrazioni interessate.
E' successo tante altre volte, specie lungo la fascia costiera
compresa tra la zona di Torre Incina in agro di Polignano a Mare,
e la zona di Capitolo in agro di Monopoli, che è costellata
da splendide calette di arenili alternate agli scogli e dove sfociano,
provenienti dal fondo di bellissime e verdeggianti lame olivetate.
Ma lungo i torrenti, a destra e a sinistra, troviamo una miriade
di canalette a cielo aperto a "forbice" che alimentano
altrettanto antichissime cisterne, scavate a mano e formanti "campane"
nella roccia, mentre altri invasi sono coperti con volta di pietra
calcarea o in conci di tufo. Per l'utilizzazione privata, qualche
contadino coraggioso, ancora credente nel prezioso liquido che
viene dal cielo, oggi azzarda addirittura la copertura con soletta
in cemento armato, perché diversamente i costi sarebbero
proibitivi.
Un particolare e stupefacente esempio di uso pubblico delle acque
meteoriche, invece, lo troviamo a Monopoli, sulla via Amleto Pesce
ad angolo con la via S. Marco. E' un complesso edilizio denominato
"Le Fogge", costituente un insieme di cisterne seminterrate
comunicanti fra loro (della capacità complessiva di circa
50.000 metri cubi) che capta, con un ingegnoso sistema di canali,
le acque piovane fluenti dai vicinissimi torrenti "Belvedere"
e "Sette Monti". Di qui, attraverso un condotto sotterraneo,
l'acqua arriva fin nel bel mezzo dei binari della locale stazione
ferroviaria e che, una volta, serviva per alimentare le locomotive
a vapore.
Tutta l'acqua che da secoli giace nelle suddette cisterne, nelle
fogge pubbliche e private o negli invasi o bacini o laghetti che
dir si voglia, insieme a tutta quella che scorrerà dai
torrenti (perché, come dicevano gli antichi: l'acqua in
cielo sta e prima o poi giù verrà), non aspetta
altro che tornare ad essere utilizzata. Come una volta, che soltanto
dopo l'avvenuta ed accertata "riempitura" (la piena)
delle cisterne, e dopo aver ostruito la "forbice" con
un tappo fatto di sacchi di juta arrotolati, si consentiva lo
sfioramento dell'acqua superflua e la ripresa della sua corsa
fino al mare. Dove, spesso, non arrivava mai.