Franco Muolo

Pubblicata sul n. 56 del periodico

Portanuova

in edicola il 3 marzo 2001

 
Idee in porto


Il piano per il rilancio del porto di Monopoli, illustrato sabato 17 febbraio nella cornice del castello di Carlo V dal responsabile dell'Area Integrata Trans Adriatica, dr. Luciano Greco, ha posto in risalto il "nanismo" del nostro scalo marittimo, vista la perdurante situazione di stallo del suo sviluppo, che si trascina fin dai lontanissimi anni Sessanta. Una sola consolazione dopo 40 anni di richieste e di febbrili sollecitazioni: gli attuali lavori di ristrutturazione per il consolidamento del molo foraneo e il potenziamento della radice di tramontana, anche in attuazione dei programmi previsti dal suo vecchio piano regolatore.
Nonostante i lodevoli sforzi che i responsabili dell'AITA stanno tentando, nel mantenere l'obiettivo di uno sviluppo comune, nell'ottica di un mercato globale guardando sull'altra sponda dell'Adriatico, purtroppo, devo osservare che non è stato fatto alcun riferimento alla storia urbanistica locale. Sta di fatto che nel 1975 la Variante del piano regolatore generale del territorio monopolitano, ebbe a recepire i dettami dello specifico piano regolatore del porto (quest'ultimo di competenza della regione Puglia e del Demanio marittimo), intravedendo la ristrettezza del suo bacino (sono arcinote le difficoltà degli operatori per far girare le navi su se stesse all'interno del cerchio baricentrico di manovra), tanto che lo stesso redattore del Prg, prof. Luigi Piccinato, all'epoca, ne sviluppava due previsioni di ampliamento: una sulla costiera sud, con il nuovo porto turistico; una a nord, con il nuovo porto canale destinato alla cantieristica navale localizzato nell'area di sedime di una vecchia cava abbandonata.
Oggi, dopo oltre un quarto di secolo, si vorrebbe tornare indietro con l'accentramento (già allora discutibile) delle attività pescherecce, del trasporto merci, delle variegate attività cantieristiche, del turismo nautico, ecc.. ecc.., tutti nell'ambito di quel piccolo specchio d'acqua, tanto piccolo che 25 unità della flotta della pesca locale di pregio, non essendoci più posti disponibili per l'ormeggio, hanno dovuto emigrare nel vicino porto di Brindisi (come ha dichiarato lo stesso relatore dell'AITA). E ora viene prevista addirittura l'aggiunta anche di una stazione marittima attrezzata per il traghettamento passeggeri, interrando e banchinando per sottrarre sempre più spazio all'acqua, a cavallo delle cale Fontanelle e Curatori che già sono intasate: la prima dai cantieri navali e la seconda dalla Lega Navale Italiana, peraltro entrambi in forte espansione ma che rendono difficoltosi tutti gli altri traffici marittimi.
Forse, sarebbe bene chiedere ai titolari degli opifici industriali, operanti nel bel mezzo del nostro piccolo scalo portuale, di poter dare un tocco di colore vivace alle ciminiere e alle facciate a vista dei loro stabilimenti: chissà, qualche sceicco in transito si accorgerebbe prima e potrebbe decidere di investire da noi potendo concentrare tanto ben di Dio in così poco spazio, e realizzare le relative infrastrutture sotto il mare o nell'alto del cielo. E con buona pace anche di chi sperava di raggiungere liberamente la battigia, alla luce della recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione che per la prima volta ne ha riconosciuto il diritto.