Viaggiando in treno sulla tratta Bari-Monopoli
mi è capitato di leggere uno scritto anonimo, stampato
su un foglietto di carta intestata col simbolo del WWF e Birdlife
International, da cui apprendo che la moderna pratica agricola
dell'infittimento dei vecchi uliveti produrrebbe notevoli danni
alle coltivazioni, renderebbe arido il suolo e imbruttirebbe il
paesaggio. Condizioni negative che comincerebbero a far scomparire
uliveti secolari e habitat naturali - sempre secondo lo scritto
- in Puglia, in Andalusia, nell'isola di Creta, e comunque in
zone dov'è fiorente l'olivicoltura intensiva.
Non potendo fare a meno di osservare il nostro paesaggio dai finestrini
del treno in corsa, mi è venuta in mente una frase che
mio suocero, già ultraottantenne, amava ripetere ogni qualvolta
piantava una giovane pianta di olivo nel bel mezzo del suo vecchio
uliveto: "lo faccio per consentire la sopravvivenza delle
future generazioni". Continuando a guardare fino alla fine
del viaggio, ho notato che gli unici squarci di "brutto",
perpetrati dall'uomo ai danni della nostra campagna, sono quelli
provocati dall'inserimento dei vigneti a tendone. Sempre più
voraci di acqua e coperti da orribile plastica bianca, sembrano
voler attirare di più e diffondere tutt'intorno i raggi
del sole, come fossero degli specchi ustori di antica leggenda
(Archimede li usò contro le navi romane nemiche, da noi
sembrano voler bruciare gli uliveti secolari circostanti).
Ma l'olivo si difende bene. Infatti i molti tentativi di abbandono,
visibili lungo la linea ferroviaria, sembrano non avere fortuna:
l'olivo abbandonato a se stesso non muore mai. Anzi si "inselvaggisce",
combattendo con tutte le sue forze, emettendo polloni sempre più
giovani dalla base del suo poderoso apparato radicale. Così
facendo assicura più ombra e quindi più umidità
al suo substrato, trasformandosi in un enorme cespuglio. E se
si trova sulla stessa visuale di un moderno fabbricato ne ingentilisce
l'estetica migliorando il contesto ambientale.